Un’ipotesi suggestiva vuole il tartufo già presente al tempo dei Sumeri, intorno al 1700–1600 a.C. Ne parla Plinio il Vecchio (79 d.C.) nel suo Naturalis Historia, citando il “Tuber” nella dieta dei Romani, Plutarco lo definisce “protuberanza della terra (Tuber Terrae)”, combinazione di acqua, terra, fuoco e fulmini. Il poeta Giovenale lo descrive come prezioso frutto di un fulmine scagliato da Giove, attribuendogli qualità afrodisiache. Nel Medioevo e nel Rinascimento il tartufo, presente sulle tavole di preti e aristocratici, divenne un cibo altamente ricercato al quale si attribuivano particolari effetti estatici, sintesi sublime di massimo piacere dei sensi. Il trionfo arrivò con il Re Sole, Luigi XIV e le glorie di Versailles.
Citato da Molière nella commedia “Tartuffe” (1664), nel Settecento il tartufo diventa celebre nelle corti di tutta Europa, dove la sua ricerca diventa un gioco di squadra tra i nobili di palazzo, al quale partecipano ospiti e ambasciatori. Da qui ben presto si afferma anche nelle corti d’Italia: testimonianze scritte ci dicono che un afrodisiaco piatto di tartufi neri è sempre presente negli incontri amorosi di Giacomo Casanova. Il poeta George Gordon Byron cercava creatività stimolato dal suo profumo, Alexandre Dumas scriveva che “fare la storia dei tartufi…sarebbe intraprendere la storia della civiltà del mondo”. Diviso fra delizie della tavola e poteri suggestivi, il tartufo è arrivato fino a noi citato con entusiasmo da artisti e letterati del calibro di Cesare Pavese, Mario Soldati e molti altri.